Fatevi una domanda molto semplice: quante persone conoscete che leggono molto? Probabilmente, essendo noi in questo specifico contesto, potreste dire molte.
Allora fatevi un’altra domanda, meno semplice: quante persone di queste che leggono molto, vi appaiono felici? E per felici intendo capaci di prendere in mano la propria vita, prendersene piena responsabilità, senza crollare sotto il peso della fatica umana di essere vivi? Con ogni probabilità potrete dire, meno.
Allora il binomio inscindibile per cui essere grandi lettori – costruisce persone felici è un pilastro da mettere in discussione. Non sto negando l’importanza capitale di leggere, sto solo dichiarando che non è tutto qui.
Non-è-tutto-qui.
Il motivo per cui faccio quello che faccio ogni giorno della mia vita non è il mero piacere parlare di libri. Non mi interessa nemmeno più di tanto quanto belle siano le illustrazioni, quanto perfetta sia una metrica, quanto curata l’impaginazione. Riconosco i parametri e costruisco delle idee a riguardo, ma il focus qui non è il giudizio. La critica letteraria la lascio a chi ha sensibilità per questo aspetto, e menomale che c’è, a chi ha speso anni a studiare i parametri e le parole giuste per definire in ambito letterario cosa è bello e brutto, cosa va bene e cosa no. Io stessa imparo da queste persone una marea di cose che non so, e che mi affascinano, ma che restano sempre per me a un livello di importanza necessariamente inferiore rispetto alla ragione per cui noi adulti leggiamo con i bambini. Che dovrebbe essere quella di crescere individui felici. O sbaglio?
I libri rendono i bambini felici? Dipende. I libri belli li rendono più felici di quelli brutti? Dipende. I libri brutti li rendono più felici di quelli belli?
Il fatto è che i libri sono ben poca cosa senza le persone. I libri non esistono senza le persone: quelle che li scrivono, che li pubblicano, che li leggono, certo. Ma non solo.
Le persone vengono prima dei libri nella misura in cui ogni giorno della nostra vita stiamo davvero attenti alle persone che abbiamo davanti, bambini o adulti che siano. Ah, essere gentili con i bambini e rancorosi verso il resto dell’umanità non è coerente. Se vogliamo educare alla gentilezza dobbiamo avere coraggio e essere gentili. In primis con noi stessi perché da lì nasce il tipo di energia che per effetto farfalla sapremo emettere nel mondo, come magia bianca o magia nera.
La differenza la fa se leggiamo insieme ai nostri figli perché crescano persone migliori, e scegliamo di allinearci ai valori che vorremmo i libri veicolassero per noi.
Non dobbiamo delegare.
Se vogliamo che i libri insegnino ai nostri figli a parlare prima e meglio, ascoltiamoli parlare e lasciamoli liberi di pensare, dire, cantare, tacere. Con o senza un libro in mano.
Se vogliamo che i nostri figli siano capaci di scegliere, lasciamoli scegliere, ovvero preferire, discernere, tentare, fallire, sbagliare, rialzarsi, riprovare, sognare, ottenere. Questo si può sperimentare anche nel mondo dei libri stessi, senza negare l’accesso ai libri che la critica letteraria definisce delle porcherie, e senza negare l’accesso ai libri che in effetti sono dei capolavori di arte, poesia, meraviglia. Il vero diritto è avere accesso a tutto questo, e non solo a una porzione, che per negligenza da una parte o eccesso di zelo dall’altra non rendiamo disponibile all’esperienza.
O per ignoranza. Ma attenzione, l’ignoranza non è un problema. Il vero problema è l’assenza di curiosità.
Se vogliamo che i libri insegnino ai nostri figli a padroneggiare le proprie emozioni dobbiamo lasciargliele sperimentare, fuori e dentro la carta, con fiducia e coraggio, passando il concetto basilare che non saranno mai i libri da soli a risolvere i loro problemi, ma loro stessi, con le proprie mani e piedi e lacrime e pensieri e parole e fatti.
Se vogliamo che i libri insegnino ai nostri figli a pensare dobbiamo lasciarli pensare. Dobbiamo lasciarli pensare. Sì, spegnere le televisioni, i cellulari. Non ordinare le cose su Amazon che arrivano in 12 ore, ma avere la pazienza di aspettarem per scegliere meglio e per darsi il tempo di ottenere. Non usare sempre e solo googlemaps, ma imparare a orientarsi. Non risolvere tutto in quattro e quattr’otto perché così è la via più facile.
Ma chi ha mai detto che la via più facile debba essere per forza la migliore?
Dobbiamo lasciarli pensare. Fare loro mille domande, e anche stare in sacrosanto silenzio. Soprattutto lasciare sempre lo spazio affinché si sentano liberi di poter domandare. Sì, qualsiasi cosa. Sulla morte, sul sesso, sui soldi, sullo spirito, su se stessi e su di noi. Dobbiamo essere puliti come vetri. Dare loro risposte vere anche quando significa che risposte vere non ce ne sono affatto. Ammettere di non sapere, dichiarare che ogni opinione personale non è mai reale, ma solo una proiezione mentale di una realtà che oggettivamente nessuno sa davvero cosa sia.
Dobbiamo fare loro domande. E non solo legate alla quantità di nozioni, quanto fa 6X8, bravo se sai, asino se ancora non hai imparato. Gratificazione e frustrazione. Chiediamo loro altro. Cosa ne pensano delle cose, di tutto. Chiediamo loro cose che non sappiamo nemmeno noi e come potremmo?
Cos’è la felicità? Cos’è la verità? Cos’è il bene, cos’è il male? Dov’è il confine tra ciò che è reale e ciò che non lo è? Forse i fantasmi esistono, forse i nostri figli sanno parlare con i morti e noi non lo sappiamo perché non glielo abbiamo mai chiesto.
Se cerchiamo libri che risolvano le paure sulla morte dobbiamo essere noi i primi ad allinearci a essa. Se vogliamo libri che insegnino alle bambine a essere femmine, donne, liberiamoci dai condizionamenti di secoli e secoli sulle mestruazioni, sul corpo, sulle regole, rompiamo le righe, liberiamole dai dogmi e dalle false credenze. E non dimentichiamoci dei maschi, per favore, che non hanno meno bisogno delle femmine di attenzione e rispetto.
Se vogliamo che i libri insegnino ai nostri figli a essere creativi, per favore, lasciamoli creare. Essere creativi non è produrre disegnini dopo che abbiamo letto una storia insieme, non è chiedere loro di fare le rime, di parafrasare la fantasia. Essere creativi è ottenere dai libri, dai film, dalle canzoni, dalle altre persone, dalla natura, dai propri stessi passi, quelle informazioni necessarie a imparare a padroneggiare se stessi nel mondo, e mettere insieme queste informazioni in modo originale, diverso, non convenzionale. Utile. Non si tratta solo di sapersi adattare alla vita, ma di viverla davvero, di essere davvero vivi. Non si tratta di attendere la vita sulla porta terrorizzati da chi busserà adesso, domani? Corriamo ai ripari! No, la gioia di vivere è incontrare la vita, essere pronti all’appuntamento, chiunque o qualunque cosa sia a suonare il campanello.
I libri sono niente, senza le persone. Leggere molto insieme ai propri figli stando ben attenti a censurare una parola come “stupido” o “scemo” o “ciccione” perché queste cose non si dicono, e poi rivolgersi a loro nella vita, quella vera, dicendogli “vergognati”, oppure “lascia perdere”, oppure “non possiamo farci niente, sei fatto così”, è pazzia. Siamo coerenti. Se in un libro l’autore ha scelto di scrivere “idiota”, e noi leggiamo quella parola a voce alta, ma nella realtà non ci siamo mai rivolti a nessuno usandola per ferire, QUESTO impareranno i bambini.
Oggi mi sono presa il tempo e la briga di scrivere queste parole e farò anche un’azione decisamente fuori dalla mia zona di comfort nel mandarle in diretta ma lo faccio lo stesso, perché sento la responsabilità di doverlo fare, perché le sento buone come parole, e allora le dico. Sono le parole che io ho fatto mie leggendo libri, tanti, di tutti i tipi. Andando a parlare con le persone, tante, di tutti i tipi. Persone che hanno competenze che io non ho, ed è meraviglioso incontrarsi e scambiarsi le proprie consapevolezze, e identità. Questo è essere umani.
Dobbiamo fare in modo che i bambini leggano molti libri, certo, ma non di meno che incontrino molte persone diverse e simili tra loro, che vedano molti luoghi, che vivano molte vite in una perché sono convinta che così, e solo così, possiamo sperare di star facendo la nostra parte di adulti per crescere fin da oggi bambini che siano davvero persone felici.