Ebbene sì, è successo di nuovo. Dopo il mio innamoramento (ancora incrollabile) per Undicesimo comandamento di Davide Calì e Tommaso Carozzi, la casa editrice Kite giunge “silenziosamente” a donarmi una nuova potentissima emozione.
Si tratta del silent book Altroquando, dell’illustratore e artista plastico venezuelano Sandro Bassi. Un libro che esce in un momento molto particolare della mia vita, durante il quale mi sto interrogando obiettivamente e quanto più possibile onestamente sulla mia – nostra – relazione con lo smartphone e i social.
E allora questa volta, anziché tentare una lettura critica dell’opera in sé (anche perché in questo articolo di Vitazerotre c’è già scritto quanto penso sia utile sapere ), colgo l’occasione per aprire una riflessione sullo stato delle nostre vite al momento attuale. E lo faccio partendo da una domanda apparentemente semplice: LA VITA E’ BELLA?
Paradossalmente, dalla risposta che ciascuno di noi darà a questa domanda dipenderà anche l’esito della vita stessa. La vita è esattamente come pensi che sia.
Credere che la vita sia un fastidio di passaggio da sopportare con tutti i suoi imprevisti, le fatiche e le brutture contro le quali si è costretti a lottare; reagirvi come si farebbe a un dispetto del destino, contro il quale si ha ben poco potere, navigando a vista tra le ingiustizie del meteo avverso, della politica sbagliata, della triste natura umana e del suo inesorabile declino.
Oppure affidarsi a una visione che percepisce l’esistenza come portatrice di un’inopinabile forma di bellezza che si rivela quotidianamente in tutta la sua meraviglia; viverla come fosse un dono miracoloso per cui essere grati, prendendosene la piena responsabilità davanti a gioie e avversità; osservarla con sguardo critico e innamorato, ostinandosi a trovare un senso a tutto ciò che è, scegliersi una fede di incrollabile fiducia nei confronti della verità, della bellezza e della bontà del mondo; assegnare un significato al ruolo che ciascuno abita per il semplice fatto di essere presente, qui e ora, come parte attiva, determinante, indispensabile nel gioco del mondo.
Verso quale delle due visioni vogliamo tendere?
Questa mia riflessione prende avvio da una ferrea e incrollabile presa di posizione: sì, la vita è bella. E nostro scopo come esseri umani adulti è essere testimoni e portatori di tutta questa meraviglia, per noi stessi e per quelle nuove generazioni che quotidianamente prendono noi come modelli da seguire. Che modello stiamo proponendo?
Scrive il filosofo e psicoterapeuta Piero Ferrucci: “Parlare di come la bellezza arricchisce la nostra vita è imbarazzante tanto è ovvio, ma cruciale tanto è urgente.” Forse per intuire quanto incida la presenza di bellezza o meno sulla qualità delle nostre vite è utile sbirciare nel contesto dov’è più evidente la sua assenza. Per farlo, credo di dover guardare non lontano dalle nostre tasche, in quel rettangolo luminoso che vende distrazione a basso costo: lo smarthpone.
Basta dare una sbirciata lungo le strade per incontrare la distopia di Sandro Bassi: siamo tutti costantemente connessi e, contemporaneamente, dannatamente disconnessi. Ognuno ha le proprie ragioni per rimanere appeso lì, nel limbo tra il reale e il virtuale: ammazzare la noia, sviare dalla solitudine, lavorare, cercare, imparare, ascoltare musica, orientarsi nello spazio, spegnere la mente. Sulla carta tutto questo sembrerebbe la panacea a ogni male, la soluzione perfetta per ogni situazione, ogni bisogno, ogni più minima problematica quotidiana. Ma è davvero così? Cosa accade a tutti noi, ogni volta che sfoderiamo il nostro alleato tascabile per reagire il più tempestivamente possibile a qualsiasi situazione? A fronte di una serie di inequivocabili facilitazioni, con l’uso smodato dei dispositivi digitali, come scrive ancora Ferrucci, “diventiamo automi che si aggirano per i sentieri virtuali di Internet […]. Inondati da così tanti stimoli, finiamo per essere distratti e assenti. […] E’ una terra desolata dove ci sembra di poter avere tutto, ma in realtà non siamo nulla”.
Allora, forse, quello che ci stiamo perdendo è davvero la bellezza.
E non solo quella che possiamo ancora guardare dal vivo con gli occhi, ascoltare con le orecchie, toccare con mano. Ancor di più, la bellezza di tutto ciò che apparentemente potrebbe non sembrare tale: le opportunità creative che derivano dall’esperienza della noia, le sfide della solitudine e del silenzio, le avventure dell’incontro accidentale con lo sconosciuto, il tempo costruttivo dell’attesa, il “tempo perso”, lo sguardo critico alle idee di realtà, il contatto con la realtà stessa.
Altroquando non è un libro semplice, e non deve esserlo. Come già scrivevo a proposito di Undicesimo comandamento “…alcuni libri sono esperienze da cui si esce spaesati, come dalle montagne russe: molte domande, poche risposte, una momentanea perdita di riferimenti e certezze. […] Davanti a questo libro silenzioso resto silenziosa anche io, e sono grata di sentirmi così: significa che certa letteratura sa toccare corde profonde”.
Non conosco il punto di partenza che ha portato Sandro Bassi a raccontarci il nostro mondo proprio in questo modo, ma più che un lontano futuro distopico queste tavole sembrano piuttosto la fotografia di un momento presente che dobbiamo avere il coraggio di guardare molto bene e molto presto.
Oggi stesso. Quando altro?