Cos’è la felicità?

Questa domanda dovrebbero porcela a scuola, farne materia di studio. «Ragazzi, chiudete i libri e aprite il cuore: oggi studiamo la felicità».

Invece ogni giorno si apprendono miriadi di nozioni, certamente utili al sapere o al fare, ma spesso superflue all’essere.

Guus Kuijer, Ne Il libro di tutte le cose, edito da Salani scrive questo:

«Che cosa vuoi diventare da grande?» – domandò la signora Van Ameersfoort.

«Felice” – rispose Thomas – «Da grande diventerò felice».

Un dialogo che mi ha colpita profondamente perché in due battute traduce l’essenza stessa della questione: la felicità è una scelta.

Una scelta che sorge dalla nostra convinzione che la felicità dipenda da noi o da circostanze fortuite; dalla capacità di riconoscerla quando è lì («Quando siete felici fateci caso», diceva Kurt Vonnegut); dalla destrezza di saper mettere l’attenzione in un luogo dell’animo anziché un altro; dalla volontà di osservare «se ogni giorno scegliete di vivere nella paura o nell’amore (cit. Wayne W. Dyer)».

Invece arriviamo a trenta, quaranta, settant’anni e nessuno ce lo ha mai chiesto, se sappiamo cosa sia, dove sia, che faccia abbia, quanto duri, se davvero esista, questa felicità. Ci ritroviamo a nominarla di tanto in tanto, con circospezione, senza nemmeno essere certi che sia davvero lei, e non magari solo un venticello che passava di lì per caso a carezzarci la pelle, e poi basta.

Di fatto la parola “felicità” non è un oggetto che si tocca, è un’esperienza che si vive. Solo che se non sei certo che esista, resta un contenitore di significati vuoto.

E se lo dicessimo ai bambini, fin da subito, che quei contenitori di significati che sono le parole, li possiamo riempire con le nostre rappresentazioni, che la vita è un processo e la felicità è un’arte, si può apprendere e insegnare, si può raggiungere e condividere?

Beatrice Alemagna ne “La gigantesca piccola cosa” edito da Topipittori descrive la felicità attraverso le voci di chi non ha saputo riconoscerla, di chi l’ha chiusa in una scatola, di chi ne ha avuto paura. E’ un albo illustrato senza età, che parla la lingua propria della poesia, della fantasia e della più profonda saggezza.

Antoinette Portis in “Ora sono felice” edito da Terre di Mezzo traduce un concetto assimilabile al qui e ora del “Potere di adesso” di Eckhart Tolle, in cui ogni singola cosa di ogni singolo istante è perfetta, ogni attimo di vita è il preferito, perché niente esiste se non il tempo presente, niente conta se non ciò che è. E assieme a questo potentissimo significato, l’autrice ci riporta anche all’essenza della gioia nella condivisione del proprio tempo con un figlio: «Questo è il mio momento preferito perché è quello che sto vivendo ORA, con te».

La felicità è un’idea della quale si dovrebbe parlare anche prendendola molto più alla larga, chiedendo a se stessi di rispondere ad alcune domande da un milione di dollari.

“Cosa significa per te essere felice?”

“E cosa ti serve per riuscire a esserlo?”

Sono due domande molto diverse. La prima implica una mèta, l’altra la strada per raggiungerla.

Quando ho fatto queste domande a me stessa sono arrivata ad alcune conclusioni.

Per esempio la felicità nel mio mondo implica la capacità di credere nelle proprie idee e avere il coraggio di realizzarle, attraverso l’azione, la disciplina, la passione, la perseveranza, la pazienza.

Ecco alcuni albi per portare questi concetti:

La felicità implica la capacità di saper riconoscere opportunità nelle più grandi difficoltà e anche, come direbbe Jim Rohn, nello straordinario intento di “trasformare la frustrazione in fascino” (v. qui). Idee che riconosco in questi titoli:

La felicità, per me, è propria di chi si libera dal giudizio, dall’egocentrismo ideologico, dalla volontà di avere ragione ad ogni costo, rinunciando alla libertà di sbagliare, scusarsi e rimettersi in piedi. La felicità vive in chi strappa le etichette di dosso a sé e agli altri, per permettere a ciascuno di essere chi è ogni istante, concedendosi di cambiare ogni giorno un po’. Tutto questo lo trovate qui:

Tutto ciò che desidero, attraverso questo scritto, è che ogni lettore approdato qui sopra chieda a se stesso: “Cosa significa per te essere felice?” e “Cosa ti serve per riuscire a esserlo?”.

E’ il passo più rilevante, perché il cervello umano è fatto così: se gli fai una domanda, che tu lo sappia o no, lui sta già andando a cercare una risposta.