Platone, Aristotele e il gioco di pensare la meraviglia.

Ho rimosso gran parte di quello che mi hanno insegnato a scuola, ma le lezioni di filosofia no, quelle sono ancora impresse nella mia memoria. Ogni volta che aprivo il libro di testo avevo la sensazione che qualcosa di intricato si stesse dipanando nella mia mente, rimanevo sistematicamente affascinata da quanto quelle idee apparentemente distanti dal mondo attuale si rivelassero innegabilmente attuali, geniali, all’avanguardia. 

La filosofia è stata la prima palestra in cui mi sono divertita a giocare col pensiero,  a renderlo elastico, aperto, scattante: ho un debito con questa disciplina, e l’intervista a Emiliano Di Marco è il mio modo per ripagare questo debito.

Emiliano Di Marco

Toscano d’origine e d’accento, esperto di filosofia, storia e bistecca alla fiorentina. Da piccolo scriveva storie per grandi, ora che è diventato grande ha deciso di scrivere storie per piccoli. Si è laureato in filosofia a Firenze, ma vive e lavora a Roma. Con la casa editrice La Nuova Frontiera ha pubblicato, oltre alla serie Piccoli storici e alla collana Storie per piccoli filosofi, Il mio primo libro di filosofia, Quattro passi nella filosofia, Piccoli grandi filosofi e Abbecedario filosofico. Insieme ad Armando Massarenti è autore di un manuale di filosofia per le scuole dal titolo Filosofia: sapere di non sapere. Le domande che hanno caratterizzato lo sviluppo del pensiero.


Emiliano, che cos’è per te la filosofia e da dove nasce la tua passione?

Aristotele diceva che la molla che ha fatto nascere la filosofia è la meraviglia per quello che ci circondava, quindi potremmo dire che la filosofia è la Scienza del Meraviglioso. Questa è una definizione bellissima, però credo che non chiarisca molto le idee su cosa sia in effetti.

Per essere un po’ più specifici, la filosofia è innanzitutto un gioco, o meglio una serie di giochi, che facciamo tra di noi e con quello che ci circonda.

C’è il Gioco del Perché, che consiste nel farsi una domanda finché non si risponde “Perché sì” o “Perché no”, segno che qualcosa che sembrava ovvio tanto ovvio non era. Per fare un esempio, questo è il gioco che fanno i filosofi quando si chiedono cos’è la Bellezza o la Bontà, visto che queste domande possono essere tradotte con “Perché le cose belle sono belle” e “Perché le cose buone sono buone”.

Poi c’è il Gioco del “Cosa succederebbe se…”, che consiste nell’immaginare una situazione e trarne le conseguenze. I Filosofi con la F maiuscola, a cui piace darsi un tono, generalmente lo chiamano “Esperimento Mentale”, ed è quello che faceva Platone quando raccontava il Mito della Caverna o Descartes quando si immaginava di essere vittima di un Genio Ingannatore. Ma è pure lo stesso gioco a cui giocavano i nostri antenati del paleolitico attorno ad un fuoco, Omero quando parlava di come fu rapita la donna più bella del mondo e i bambini quando dicono “Facciamo che io ero un pirata e tu un astronauta?”.

La mia passione per questi giochi credo nasca dal fatto di essere un primate noto come essere umano, che da quando abbiamo notizie si è sempre divertito un sacco con questi giochi. Probabilmente a me piacciono particolarmente perché non sono cresciuto del tutto e mi diverto a giocare più di quanto sarebbe normale per un signore della mia età.

A cosa serve la filosofia?

La filosofia dovrebbe servire a trovare risposte alle domande di cui sopra, ma ancora una volta la definizione è un po’ troppo vaga per servire a qualcosa.

Se la applichiamo alla vita di tutti i giorni, direi che per prima cosa serve a divertirsi e a trasformare noi, il mondo che ci circonda, gli oggetti quotidiani e le idee che ci passano per la testa in giocattoli. Il solo fatto che io sia una delle incredibili Cosa Che Pensano Senza Sapere Come Fanno mi rende più misterioso e inesplicabile del continente perduto di Atlantide o del sesso degli Angeli, e scusate se è poco. Sono anche perfettamente conscio del fatto che si possa vivere senza la filosofia, ovverosia smettendo di giocare ai giochi di cui parlavo prima, visto che c’è un sacco di gente che lo fa; credo anche che pensare troppo possa essere un problema. Mettiamola così: credo che la filosofia sia un po’ come il gelato. Si può vivere tutta la vita ed essere felici senza mai mangiare un gelato. Se si mangia solo gelato, può essere un grosso problema. Detto questo è buonissimo, ha un sacco di gusti differenti e una vita con un po’ di gelato (all’interno di una sana dieta equilibrata) è molto più bella e piacevole di una vita senza gelato.

In che relazione stanno secondo te i bambini e la filosofia?

I bambini sono pieni di meraviglia e stupore verso un mondo che gli appare strano e spesso incomprensibile. Oltre a questo adorano giocare al Gioco del Perché e a “Cosa succederebbe se…”: direi che quindi sono il pubblico ideale. Non a caso Wittgenstein notava come ci sono delle domande che solo i bambini, i malati di mente e i filosofi si pongono. Direi che aveva in gran parte ragione: credo sia solo doveroso sottolineare che delle tre categorie i bambini sono quelli che hanno un rapporto più sano e costruttivo con la materia.

Senza esagerare, credo che si potrebbe dire che i filosofi sono quei bambini che non hanno smesso di chiedersi le domande a cui i genitori non riescono a rispondere, tipo “ma se un albero cade e nessuno lo sente cadere, che rumore fa?” o, come mi è successo, “di che colore è il Nulla?”.

Come si fa a rendere accessibile ai bambini questo argomento?

Nella stessa identica maniera con cui andrebbe fatto con chiunque: facendo capire a quale domanda il filosofo di turno voleva rispondere, e perché quella risposta gli sembrasse una buona soluzione. Uno dei problemi nella didattica della filosofia, specie al liceo, è che spesso ci si limita a fornire la risposta senza che sia chiaro cosa si stava chiedendo il signore in questione. L’impressione che se ne ricava è che i filosofi siano delle persone che si alzano una mattina e giocano non al Gioco del Perché o a “Cosa Succederebbe Se…”, ma a chi la spara più grossa. Il che può pure essere divertente, ma lascia il legittimo dubbio sul perché io debba studiare il pensiero dei filosofi e a cosa serva parlare di monadi, sintetici a priori e universali. Se invece si capisse che Leibniz voleva comprendere come sono fatte le cose, Kant si chiedeva come possiamo essere certi di qualcosa e Aristotele cercava la risposta alla domanda “Perché le cose buone sono buone”, tutto sarebbe più facile e divertente.

Qual è il filosofo più vicino ai bambini secondo te?

Se si parla di vicinanza fisica, direi siamo messi male: forse a causa di quello che diceva Wittgenstein, i filosofi in generale si sono sempre tenuti a distanza dai bambini e ne hanno fatti il meno possibile. Il caso limite è quello di Rousseau, che pur scrivendo il primo trattato moderno di pedagogia affidò tutti i suoi figli alle amorevoli cure degli orfanotrofi.

Parlando di vicinanza intellettuale, alle luce di quanto detto direi che tutti i filosofi sono molto più vicini ai bambini di quanto si pensi. Nel caso di filosofi pieni di immaginazione direi che la vicinanza è particolarmente forte. In una lettera Leibniz chiede ad un amico: “Come mai esiste qualcosa invece del Nulla?”. Ditemi voi se questa non sembra una di quelle domande che i bambini fanno verso i cinque – sei anni e che ci lasciano pietrificati a rispondere “Beh… perché sì”.

Qual è il loro preferito?

Come per gli adulti, generalmente il nostro filosofo preferito è sempre lo stesso: guarda caso si chiama come noi e su un sacco di cose la pensa nella maniera giusta. Il filosofo che più si presta ad essere spiegato ai bambini è Platone, perché era veramente un mago nell’usare storie ed immagini per spiegare i concetti che voleva esporre. Basti pensare al Mito della Caverna, al continente perduto di Atlantide, ai racconti del Simposio e al Mito dell’Auriga, solo per citare i più conosciuti.

Qual è il tuo filosofo preferito?

Ho passato una discreta parte della mia vita adulta a cercare di essere George Edward Moore, uno dei padri della filosofia analitica. Con Wittgenstein ho il rapporto che Luke Skywalker ha con Darth Vader: so che è mio padre, ma lo devo sconfiggere. Se dovessi scegliere il più grande virtuoso della materia (diciamo quello più bravo di tutti, per essere chiari), probabilmente nominerei Agostino: nei suoi passaggi migliori è l’equivalente di Maradona per il calcio, Michael Jordan per il basket o Mike Tyson nella boxe. Perfetto, elegante e inarrestabile.

Dovessi racchiudere il senso della vita in una massima, quale sceglieresti?

“Chiedete ad un altro”. Per mia fortuna, saprei anche a chi chiedere.

Credo che Socrate avesse ragione da vendere quando diceva che la più grande saggezza sta nel sapere di non sapere. Con una doverosa precisazione: questo non vuol dire che nessuno sa niente o che io abbia lo stesso diritto di un Nobel per la fisica di pontificare sulla struttura dei neutrini. Significa che più si conosce più ci si rende conto di quante cose non sappiamo e probabilmente non sapremo mai, anche e soprattutto nel nostro specifico campo di interessi. Questo tra l’altro è uno degli innumerevoli motivi per cui abbiamo così tanto bisogno degli altri e del perché quando ci sembra di aver capito tutto generalmente è il caso di contare fino a dieci, prendere un grosso respiro e probabilmente diminuire la quantità di alcoolici.

Il consiglio più saggio su come essere felici l’ho ricevuto da quella che è forse la persona migliore che abbia mai conosciuto, mia nonna Marina, che era solita ripetere due massime: “Il male voluto non è mai troppo” e “Per i bischeri non c’è paradiso”. Vivere non è facile, ma potrebbe esserlo molto di più se evitassimo di complicarci la vita.

In base alla tua esperienza come vivono i bambini il rapporto con la filosofia oggi?

A giudicare dagli incontri con i miei lettori direi molto bene, a patto di starli ad ascoltare e di considerarli davvero come interlocutori. Per inciso, credo di avere imparato più io dai bambini di quanto abbia insegnato a loro. Solo per fare un esempio, il dover spiegare Platone ad un pubblico di bambini mi ha fatto capire che in merito avevo le idee molto più confuse di quanto credessi. Tante idee che poi ho scritto nei miei libri sono state “prese in prestito” dal mio bambino preferito, vale a dire mio figlio Nicola.

Qual è il libro che ti ha divertito di più scrivere?

Questa è facile: il prossimo, senza ombra di dubbio. Tra parentesi ed in esclusiva per i lettori di Leggimiprima vi rivelo che sarà anche il più bello che abbia mai scritto.

Ringrazio di cuore Emiliano per la sua disponibilità, passione e simpatia. Ecco i libri di Emiliano Di Marco pubblicati per La Nuova Frontiera Junior.