"Siamo tutti poeti". Intervista a Bernard Friot e Chiara Carminati

La poesia ha luogo solo per qualcuno.
Eppure, si manifesta ovunque.
Léon-Paul Fargue

 Io di poesia non capisco proprio nulla. 

Ho nella mia memoria scolastica qualche tratto insignificante di San Martino di Carducci – ma forse solo perché in realtà la cantava Fiorello quando ero bambina – , e questo è quanto. La poesia, come la matematica, sembra avere qualcosa di così ostico e poco immediato, così difficile. O almeno, questo era quello che pensavo prima di sfogliare “Un anno di poesia”, di Bernard Friot.

Apritelo a una pagina a caso e leggete:

EH?! Cosa diavolo sta succedendo? Cosa significa? 

Io non capisco, ma SENTO! “La poesia è l’immaginazione che si sbarazza delle sue catene”. Ma certo, che altro potrebbe essere? Riconosco qualcosa che nel tempo ho già provato e mi emoziono. Le parole si trasformano in sensazione, in ricordo, in energia, e ne voglio ancora! Mi chiedo se forse non è questo l’unico modo davvero utile di “capire” la poesia: attraverso le vibrazioni dell’anima.

Un anno di poesia“, scritto da Bernard Friot, illustrato da Hervé Tullet, adattato e tradotto da Chiara Carminati (che trio!) e pubblicato da Edizioni Lapis, è difficile da catalogare: un ibrido tra diario quotidiano (ci sono 365 pagine datate), antologia di poesie, raccolta di proposte e spunti per apprendisti poeti e scrittori. 365 esperimenti di libertà creativa che sembrano ammiccare dalle pagine: leggi, senti, fai! Crea, osa, agisci! Sembra inevitabile tenerlo sul comodino per sfogliarlo ogni giorno e creare un appuntamento catartico e terapeutico con i nostri pensieri, perché escano e diventino azione poetica.

Non mi resta che dire grazie a voi, spacciatori di parole e bellezza, per averci accompagnato in una dimensione in cui la poesia è ovunque: è tutto ciò che raggiunge i sensi e dà immediato significato alla meraviglia.

Ecco a voi la mia chiacchierata con Bernard Friot e l’intervista a Chiara Carminati:

Chiara, tu sei scrittrice, poetessa, traduttrice. Conosci la parola sotto tutte le sue più svariate forme. Qual è secondo te il più grande potere della parola?

Le parole sono interessanti già per la loro doppia natura: sono dei piccoli disegni, quando sono scritte sulla carta, ma sono anche fatte di suono, quando vengono messe in voce. E già questo le rende dei bei giocattoli, disponibili a esplorazioni e manipolazioni. In più ognuna di loro ha una storia lunga, si tira dietro altre parole e altre lingue… Ecco perché spesso, quando si scrive o si traduce, trovare la parola giusta è la cosa più difficile ma anche più appassionante.

Umberto Eco parlava della traduzione come del “Dire quasi la stessa cosa”. Come ti senti quando devi riadattare testi altrui, e quando sono i tuoi a essere tradotti?

Tradurre per me è mettersi in dialogo con un altro autore e un’altra lingua, e per quanto riguarda i libri illustrati anche con le immagini. Che sono un linguaggio forte, presente e che richiede di essere rispettato, nella nuova veste che si dà al testo. Quanto ai testi miei, ho avuto la fortuna di avere come traduttore proprio Bernard Friot, che ha portato il mio “Fuori fuoco” sul mercato francese. Essere tradotta da un poeta, e poter dialogare con lui sul testo, è stato un arricchimento ulteriore: mi ha fatto scoprire degli aspetti del mio romanzo che nemmeno io avevo notato.

Hai lavorato insieme ai grandissimi Bernard Friot e Hervé Tullet per l’adattamento e la traduzione italiana di “Un anno di poesia”, edito da Lapis. Qual è il ricordo più speciale che ti porti dietro da questa collaborazione?

Bernard Friot ha un atteggiamento scanzonato e a volte dissacrante nei confronti della poesia: e questo è molto sano, mette il lettore e (apprendista) scrittore a proprio agio. Riuscire a portare in Italia il suo approccio, costruendo intorno un’antologia di poeti italiani classici e contemporanei, conosciuti e meno conosciuti, lavorando sempre in grande sintonia con lui, ha reso speciale l’intero percorso!

Anni fa lessi nel tuo libro “Perlaparola” la citazione di Guillevic che definisce la poesia come “scultura del silenzio”. Mi ha toccata nel profondo, perché descrive a meraviglia l’arte come qualcosa di nuovo, concreto che poco prima non c’era. Cosa provi quando senti che una poesia o un romanzo sta diventando esattamente quello che nella tua testa era solo un’idea ?

Le poesie o i passaggi di prosa meglio riusciti secondo me sono proprio quelli che… non diventano esattamente quello che avevo in testa! L’atto di mettersi in ascolto, di una suggestione sonora, di un’idea, di un’evocazione, è importante (e faticoso) tanto quanto quello di creare dal nulla. E molte volte il risultato è una sorpresa anche per me.